Il 21 marzo scorso circa 700 migranti sono stati sbarcati da una nave da guerra spagnola presso il porto canale di Cagliari. Come d’abitudine ormai queste operazioni vengono svolte bloccando le vie d’accesso al porto e militarizzando il convoglio in modo da tenere distanti contestatori e solidali. Il gruppo è stato immediatamente e sbrigativamente diviso per etnie e smistato in diverse località dell’isola.
A Cagliari è restato un numeroso contingente di Eritrei (circa 260), che conta numerose donne e bambini, alloggiati presso l’albergo Meditur (ex motel Agip) all’ingresso della città; il CPT cittadino è infatti stato chiuso soprattutto per le lamentele della società di gestione dell’aeroporto di Elmas che si vedeva obbligata ad interrompere i voli ad ogni evasione per il rischio che il fuggitivo di turno avesse scavalcato la recinzione che divideva il CPT dalle piste dell’aeroporto e potesse saltare fuori di fronte ad un velivolo in decollo. Ma è sempre stata una pratica delle prefettura quella di mettersi d’accordo con i proprietari degli alberghi per utilizzare le strutture fuori stagione (giusto il 6 aprile è stato chiuso per motivi sanitari l’Hotel Burranca che ospitava 94 profughi).
Fin dal viaggio in nave il gruppo di migranti è stato seguito dai funzionari di EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo ), emanazione di Frontex, la famigerata Agenzia per la gestione delle frontiere, allo scopo di assicurarsi fino all’ultimo che nessuno di essi si disperda per conto proprio e tutti siano incanalati secondo le disponibilità espresse dagli stati membri dell’UE. Il che significa che se anche un migrante desidera raggiungere l’Olanda è probabile che sarà spedito in Bulgaria. Il gruppo di Eritrei naturalmente è costituito da persone che hanno in comune l’origine, la disperazione e la scelta di avventurarsi in questo viaggio, ma che per tutto il resto non costituiscono affatto un gruppo omogeneo, per cui il lavoro degli uomini di EASO, della Prefettura e di tutto l’entourage dei mediatori culturali e della cooperativa Atlantis addetta alla gestione dei profughi è quello di dividerli e cercare di convincerli anzitutto a farsi identificare allo scopo di dare avvio alle pratiche di riconoscimento dello status di Rifugiato.
Tuttavia tutti conoscono le regole del trattato di Dublino e visto che ben pochi sono quelli che aspirano a restare in Italia, quasi tutti hanno rifiutato di essere identificati, sapendo anche che non gli si può estorcere le impronte digitali coattivamente. Nel giro di pochi giorni la situazione è diventata molto tesa, e si è passati dall’appello alla solidarietà lanciato alla popolazione anche dalla stampa locale, a cui moltissima gente ha aderito, alla militarizzazione dell’albergo con ronde di polizia (con tanto di giubbotti antiproiettile) che allontanavano solidali e volontari non inquadrati (mettendo poi in giro anche l’allarme tubercolosi).
Il 25 marzo gli eritrei bloccano la strada esterna all’albergo. Il 4 aprile vorrebbero ripetere, ma fuori trovano un cordone di polizia che cerca di respingerli dentro l’albergo. Gli eritrei verso mezzogiorno sfondano ed in corteo si allungano verso il centro città, mentre la polizia effettua qualche fermo a scopo intimidatorio. La notizia vola per la città e si uniscono al corto numerosi compagni e tutti si arriva all’angolo tra via Roma ed il Largo Carlo Felice, di fronte al porto e sotto le finestre del sindaco, e li ci si siede in terra, dove si resterà fino alle 19. Di fatto però la protesta è rientrata senza risultati concreti: continua il braccio di ferro per l’identificazione, e parallelamente continua anche il logoramento dei rapporti di solidarietà, mentre resta molto ardua per i migranti la possibilità di allontanarsi dall’isola.
Qualche giorno fa alcuni somali sono stati bloccati a Porto Torres mentre cercavano di imbarcarsi sul traghetto per Tolone con dei documenti falsi. La scorsa settimana sono stati arrestati al porto di Cagliari due somali provenienti da Roma con decine di carte d’identità falsificate. Ma anche ammesso che qualcuno riesca nell’impresa di sfuggire, il grosso non può certo uscire dalla Sardegna senza dare nell’occhio, per non dire dei soggetti più deboli, donne, bambini, malati. Ecco che la Sardegna si disegna come un posto ideale dove portare i richiedenti asilo: una grande Lampedusa da cui è molto difficile scappare per chi non accetta le regole, mentre per gli altri c’è uno stato di semilibertà, sotto l’occhio vigile e paternalista di polizia, EASO, mediatori culturali ed operatori della coop sociale Atlantis. In attesa di essere spediti in qualche altro centro di un altro stato europeo.
Guido Coraddu